Non so se Kieslowski conoscesse l’antroposofia, se conoscesse l’opera del dottor Steiner, ma forse non è molto importante saperlo. Come dice appunto il dottore, le verità spirituali agiscono comunque sulla nostra anima, che noi le riconosciamo come tali o meno.
In “Come ritrovare il Cristo?” il dottore esamina il percorso della vita fisica terrena alla luce di tre qualità e di come si succedano nella loro opera sull’anima umana. Le tre qualità sono: uguaglianza, libertà e fraternità, ossia i tre motivi ispiratori della trilogia di Kieslowski “Trois couleurs” (nonché principi della rivoluzione francese). Il regista polacco dà una lettura molto particolare e personale di questi tre principi. Possiamo azzardare un parallelo con la scienza dello spirito e tentare una rilettura della trilogia di Kieslowski in chiave antroposofica.
Bleu (libertà)
La libertà è minima alla nascita ed aumenta nel corso della vita, raggiungendo il massimo alla morte. L’uomo la sviluppa quindi principalmente nella seconda metà della vita, a meno che non si lasci influenzare dagli influssi arimanici (che operano appunto maggiormente in questo periodo). La metà ideale della vita è anche il momento in cui l’impulso alla fraternità raggiunge il suo massimo, e il momento in cui si ha la “morte animica”: il momento oltrepassato il quale non è cioè possibile evolversi ulteriormente a livello animico solo in virtù di esperienze fisico-sensibili spontanee. Da questo momento in poi, per continuare ad evolversi bisogna volerlo: bisogna effettuare una scelta consapevole e intraprendere un cammino occulto. Condizione necessaria è accogliere il principio del Cristo. La figura del Cristo stesso sul Golgota rappresenta questo momento di metà-vita. Egli sperimentò la vita fisica fino al momento di massima effusione del principiò della fraternità e poi morì lasciando allo Spirito Santo il compito di effondere il principio della libertà. Questo momento si identifica quindi idealmente con i 33 anni, anche se il dottore ci fa presente che con l’evoluzione, questo momento si sta progressivamente anticipando.
Julie, la protagonista di Film Bleu, ha appunto 33 anni, è credente (porta una catenina con una croce), così come lo era Kieslowski, e quindi sicuramente può essere considerata come un’anima che sta acogliendo l’impulso cristico per sviluppare il principio della fraternità e della libertà.
Il film ci presenta anche come la protagonista sta comabttendo con le forze arimaniche. Julie venderà tutte le proprietà del defunto marito, lasciando il ricavato in un conto corrente di cui non ci è dato di conoscere la natura. Sappiamo solo che non lo userà lei personalmente. Successivamente modifica questa decisione addirittura in favore della ex-amante del marito, in attesa di un figlio, donandole la sua casa, in tutta risposta alla domanda di lei “Ora mi odierà?”. No, in questa anima non c’è davvero spazio per l’odio. Anche la decisione assai più radicale di “non fare più niente” nella vita, nessun lavoro, nessuna relazione, nessuna occupazione, può essere letto come una lotta radicale al mondo fisico in quando portatore degli influssi arimanici che, come dice Julie “Sono tutte trappole”. Un cammino verso la libertà dunque quello di Julie, libertà fisica e antroposofica di chi vuole chiaramente dare un taglio netto al proprio passato e iniziare una nuova vita. Una sola cosa resta, del “vecchio mondo”, qualcosa che, suo malgrado, Julie non può (forse non vuole?) allontanare da sè: la musica. Musica che ha una parte determinante nel progetto di Kieslowski, affiancato qui come in altre sue opere dall’amico compositore Zbigniew Preisner.
Le doti, specialmente quelle artistiche, sappiamo, sono di origine luciferica (e come tali tendono a svilupparsi nella prima metà della vita). Sono le cause principali della perdita di uguaglianza tra gli uomini, che nascono tutti uguali, in quanto esseri spirituali, ma che poi la vita terrena rende diversi.
Kieslowski pare voglia suggerire una riflessione ulteriore proprio riguardo all’uguaglianza. Per sua stessa ammissione, l’episodio del clochard che suona il flauto per la strada, ed esegue la stessa melodia composta da Patrice (o Julie) nel “Concerto per la riunificazione d’Europa”, vuole essere un invito a riflettere sul fatto che in fondo, nonostante le differenze di posizione sociale e di cultura (differenze cioè della sfera fisico-materiale), siamo tutti uguali. Quelle stesse note – dice Kieslowski in un’intervista, sono là da qualche parte, e aspettano di essere suonate, da chiunque (dal compositore Patrice come dal barbone). È un’uguaglianza anelata più che reale. Se come dice il dottore, l’uguaglianza è massima al momento della nascita, in quanto retaggio della vita spirituale precedente, allora il desiderio di uguaglianza contiene anche un aspetto di nostalgia pre-natale. Viene a questo punto da domandarsi se sia un caso che il barbone in questione viene inquadrato ad un certo punto del film, mentre dorme sul marciapiede rannicchiato in posizione fetale; e Julie stessa in piscina si tappa le orecchie per non udire la musica che emerge dalla sua interiorità e assume nell’acqua la stessa posizione fetale.
Qui, la musica – sembra dire Kieslowski – è ciò che può renderci uguali (addirittura può “riunificare” tutta l’Europa!) e come tali, ci rende tutti come bambini.
Inoltre, quella stessa musica che Julie inizialmente voleva distruggere, e che la copista ha salvato contiene una partitura corale il cui testo cantato in greco (Prima lettera di S. Paolo ai Corinzi, 13, il cosiddetto “Inno alla carità”) è la prova più evidente di cosa significhi accogliere l’impulso cristico e con la forza del Cristo operare un equilibrio universale tra forze luciferiche ed arimaniche. Agapé (nel testo biblico è tradotto “carità”, da Kieslowski “amore”), è in effetti il termine greco per “amore caritatevole”, ciò senza il quale l’uomo non è nulla, come dice San Paolo. Questi è stato uno dei più grandi iniziati dell’antichità, un uomo che ha compiuto un grande cammino interiore, a cui idealmente l’anima di Julie pare riferirsi come intimo ispiratore e guida spirituale.
Blanc (uguaglianza)
I nessi con la scienza dello spiritio qui sono più nascosti. Parlando di uguaglianza, secondo quanto dice il dottore, si dovrebbe parlare di bambini (l’uguaglianza è infatti massima alla nascita, e diminuisce poi nel corso della vita fisica). Apparentemente in Blanc non ci sono bambini. Ma a ben guardare il motivo della nascita è ben presente, e affiancato sempre da quello della morte, tema su cui Kieslowski era particolarmente sensibile. Sappiamo dalla scienza dello spirito che la nascita fisica si può ben guardare dalla prospettiva del mondo spirituale come una morte (si spengono certe facoltà spirituali e si discende nel mondo della materia), e al contrario la morte fisica è per il mondo dello spirito una sorta di nascita. Per non parlare poi del tema della reincarnazione che vede succedersi temporalmente morte e nascita in un continuo alternarsi. Due sono gli eventi simbolici in Film Blanc che rimandano al binomio nascita-morte. Per Karol c’è un vero e proprio viaggio (rocambolesco) dalla Francia alla Polonia, che compie chiuso in una valigia, in una posizione fetale che ricorda appunto il concepimento. Una volta giunto in Polonia egli, di fatto, rinasce a nuova vita. E qui può dimostrare (a sè e al mondo) di essere – in fondo – uguale a Dominique: non inferiore per capacità, non meno scaltro, non meno intelligente, persino non meno arrogante. Ecco il tema dell’uguaglianza che la nascita porta con sè. L’altro evento, benché riferito ad un personaggio secondario (ma in Kieslowski pochi ruoli normalmente definiti tali si meritano realmente questo epitaffio) è, di contro, simbolicamente ancora più carico. È la vicenda di Mikolaij, che addirittura “passa” simbolicamente attraverso una morte fisica, quella morte che egli ha cercato e che l’amico non ha saputo infliggergli nei sotterranei della metropolitana di Varsavia, e che di fatto, anche in questo caso, lo fa rinascere a nuova vita. Non è forse il ritratto di due bambini che giocano, la scena della loro bevuta sul lago ghiacciato? E poi c’è la finta morte di Karol, inscenata per colpire la ex-moglie e che, nuovamente, lo fa “rinascere” ancora, una terza volta. Qui cambia addirittura dati anagrafici, e in questa nuova vita sconfingge persino l’impotenza che lo aveva accompagnato da quando era in Francia. E si riscopre, alla fine, l’amore. C’è come una sottotrama in Film Blanc che pare volerci ricordare che se da un lato (antroposoficamente) le doti e l’intelletto personale (doni luciferici) sono ciò che può far venir meno l’uguaglianza atavica che ci portiamo dal mondo spirituale alla nascita, dall’altro sviluppando l’amore possiamo riconquistare questa uguaglianza di fondo. Per Kieslowski, polacco di nascita e francese di adozione, il tema dell’uguaglianza accoglie anche un aspetto politico-patriottico, e i due lati della medaglia – Francia e Polonia – sono appunto le immagini di due realtà (Dominique in Francia e Karol in Polonia) che appaiono così diverse solo ad un occhio superficiale, ma che, animicamente, sono uguali (un discorso a parte meriterebbe il parallelo con l’altra grande opera di Kieslowski dove la coppia Francia-Polonia, e il concetto di uguaglianza arrivano ad essere espressi addirittura in una individualità animica che vive, quasi contemporaneamente, due vite terrene in due corpi distinti: La doppia vita di Veronica).
Rouge (fraternità)
Dei tre, questo è sicuramente il film più complesso.
Attraverso l’esperienza del giudice, Kieslowski pare voglia suggerire una riflessione sul concetto del pareggio karmico delle azioni umane. Chi è il giudice per elevarsi al di sopra degli altri e arrogarsi il diritto di giudicare? Solo l’incontro col Guardiano della Soglia ha il compito di “chiedere il conto” karmico delle nostre azioni. Nessun altro. Assolvere qualcuno che si è dimostrato colpevole (per la legge degli uomini) e scoprire, come ha fatto il giudice, di aver fatto la cosa giusta è un’esperienza che deve far riflettere. Potrebbe essere degna di qualcuno che vede con gli occhi dello spirito, che ha ormai vinto l’egoismo e le tentazioni della vita materiale. Invece il giudice cade nuovamente nella trappola: deve giudicare colui che gli ha rubato la donna. Il caso è giuridicamente semplice, e l’uomo è chiaramente colpevole. Ciononostante il giudice dopo questo episodio chiede di ritirarsi, come a dire: d’ora in poi non voglio avere a che fare col conto karmico di nessuno: non fa per me. La decisione sembrerebbe (antroposoficamente) saggia. Il giudice deve averla maturata più o meno a metà della sua vita, cioè nel momento in cui il dottore ci dice che siamo più propensi a sviluppare l’impulso alla fraternità. Ma, non dimentichiamo, se l’uomo non accoglie il principio del Cristo, difficilmente può sviluppare la fraternità ed evitare di cadere negli influssi arimanici che lo attendono nella seconda parte della vita. Al giudice sembra essere accaduto proprio questo: si allontana sempre più da quella fraternità che potenzialmente avrebbe potuto sviluppare e arriva all’estremo opposto: prende a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini, con freddezza e sarcasmo. Finchè incontra Valentine.
Chi è questa donna? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare il personaggio di Auguste, uno di quei personaggi secondari che, come si diceva, in Kieslowski “secondari” non lo sono mai. Auguste è il giudice stesso con quaranta anni di differenza. È colui che potrebbe diventare come il giudice, con cui condivide in parte le esperienze di vita (anche lui perde la donna amata che lo lascia per un altro). Ma c’è un altro episodio (secondario?) che li accomuna: l’episodio di un libro di testo che, cadendo, si apre alla pagina relativa all’argomento su cui poi verterà l’esame universitario. È significativa questa correlazione tra i due. Parrebbe un segno, inviato dai mondi spirituali, per far riflettere. Il giudice ed Auguste sono due immagini speculari di un unico destino umano: Auguste ritratto nella prima metà della vita, il giudice nella seconda. Sono speculari quindi rispetto alla metà della vita, ed al momento di massima effusione del principio di fraternità. Come a dire che Auguste deve ancora, potenzialmente, sviluppare la fraternità in quanto non ha ancora incontrato l’impulso del Cristo; il giudice invece ha perduto la sua occasione. Qual’è l’occasione mancata per il giudice? Forse il non avere incontrato, a suo tempo Valentine. Irene Jacob stessa in un’intervista, parlando del suo personaggio afferma che “se Valentine fosse vissuta quaranta anni prima, lei e il giudice forse sarebbero stati una bella coppia”. Eppure, ciò che non è stato possibile per il giudice può esserlo per Auguste. Auguste e Valentine vivono l’uno di fronte all’altra, e per tutto il film le loro strade si sfiorano, si incrociano, senza incontrarsi mai apertamente. Solo l’epilogo drammatico del naufragio del traghetto sembra voler suggerire un possibile incontro dei due. Qui infatti vengono presentati, due alla volta, le “coppie” dei protagonisti della trilogia: Julie e Olivier, Karol e Dominique. Due coppie a tutti gli effetti. Cosa hanno a che vedere con queste coppie Auguste e Valentine? Forse potrebbero essere ciò che Valentine e il giudice non hanno potuto essere, o forse, per tramite di questo evento che il giudice osserva in tv, anche lui può avere una seconda possibilità di redimersi.
Ecco allora che Valentine acquista una identità simbolica precisa. Esprime appunto quell’impulso cristico di fraternità che fa da perno centrale nella vita di ognuno, quell’impulso che muove verso ognuno di noi per incontrarci e che ognuno di noi può riconoscere o meno, liberamente.
L’episodio della visita di Valentine ai vicini del giudice è quanto mai significativo. Il giudice mette alla prova Valentine, come a dirle che la sua bontà non può nulla contro il male del mondo, per lei in quel momento rappresentato proprio dalle intromissioni del giudice nelle conversazioni telefoniche. E inizialmente pare proprio che sia Valentine ad uscire sconfitta: non può confessare alla vicina ciò che sta facendo il giudice. Perché? Anche qui Kieslowski pare riferirsi idealmente al concetto di pareggio karmico. Tutto sommato ci piace pensare che è in seguito all’incontro con Valentine (e ciò che ne consegue a livello animico) che il giudice decide di auto-denunciarsi. Se fosse stata Valentine a denunciarlo ai suoi vicini, gli avrebbe di fatto precluso anche questa (seconda) possibilità di redimersi. A volte non denunciare un colpevole può risultare la scelta migliore, perché gli si dà la possibilità di rimediare da solo alla propria colpa. E guarda caso è la stessa cosa accaduta al giudice stesso anni prima. Ed è proprio in questi paralleli nascosti che si esplica l’idea di fondo della fraternità. Kieslowski pare volerci ricordare che, pur oguno nella sua esperienza di vita, incontriamo tutti gli stessi dubbi, dobbiamo compiere le stesse scelte. Ed è questo in fondo, il motivo per cui dovremmo essere fraternamente caritatevoli gli uni verso gli altri, come il personaggio di Valentine esprime in ogni momento.
Epilogo: il naufragio
Al termine di Rouge, il giudice osserva alla TV la notizia del naufragio di un traghetto sulla manica. Solo poche persone vengono tratte in salvo. Sono i protagonisti della trilogia: Julie e Olivier, Karol e Dominique, Valentine e Auguste. Irene Jacob in una intervista ha detto “mi piace pensare che questi personaggi sono stati salvati dal pubblico: il pubblico si è interessato a loro e così li ha salvati”. È una considerazione bellissima e dopotutto – credo – molto antroposofica.
PAOLO FUSCO