Capitolo primo (Il fiore azzurro)

– Scusami, detto così, i lettori non comprenderanno mai chi era Konstantin….

-Perché?

– Perché sei uno scrittore e devi scrivere, altrimenti che scrittore sei? Analizzo il tuo antefatto, così, tanto per parlare e per farti notare che insomma, devi stare un po’ più attento quando descrivi i fatti, emana dal tuo testo un vago sapore poetico che sciupa tutto….

– Non sciupa proprio niente, io il mio romanzo lo scrivo nel modo che più mi aggrada, se non ti dispiace.

– Certo che mi dispiace, sono TE! E’ un thriller o no? Non è un poliziesco? Non è forse un giallo? Hai detto con convinzione che volevi scrivere un giallo.

-Infatti.

– Allora i due eventi non possono coesistere, si rischia di generare un paradosso e se tutto diviene grottesco, ci potrebbero ridere dietro, tu sei un narratore oggettivo.

– Beh, sì lo sono stato, però pensavo che la visione fosse oggettiva anche se descrivevo un mondo che mi dicono non esiste. Per oggettivo si intende invece: “descrivere ciò che si vede con gli occhi. Né più né meno”.

– Io invece sono il tuo alter ego soggettivo. E ti consiglio di parlare anche di me, perché io sono molto importante nella tua vita e mi sono conquistato un ruolo di prima categoria, la mia maschera è reale, sono parte di te e dovresti trasformarmi.

Sei soltanto un prodotto dei miei pensieri, dei miei sentimenti, dei miei atti di volontà. Sono io invece a dirigere il corso della mia vita.

– E’ anche la mia, se permetti.

Vuoi smettere di chiacchierare? I lettori penseranno che sia un dissociato e un malato, invece io sto bene, io ho il controllo di me stesso, cioè di te.

– Non mi conosci affatto. Questo fatto che dialoghiamo, per esempio, lo trovi tanto normale?

Certo chè è normale1 Ogni essere umano dialoga con se stesso, monologa con se stesso, pensa e si ripiega in se stesso. Avviene tutti i giorni per milioni e milioni di esseri umani.

-Non ci trovi niente di strano, eh? Tu hai l’ossessione del problema del male, il male per te è una categoria ontologica, lo hai studiato da ogni punto di vista, ma non riesci a venirne a  capo. Perché l’uomo fa del male’ Perché è affascinato dal male? Sono alcune domande che ti poni ad ogni pié sospinto. Perché l’uomo ha bisogno del male? Perché il dio buono accetta il male?

– Tu vaneggi. Io non sono interessato al male, come dici tu, io rifletto spesso alle difficoltà e alle avversità in cui si trova l’uomo e soffro perché non vedo motivazioni nel male.

– Il sono il tuo Doppio, l’Ombra tua. Se anche conversare con me ti repelle, io pur ci sono e sono una tua creatura. Non puoi abbandonarmi.

– Non  metterla sul manicheo, abbi pazienza. Mi domando: male e bene sono due categorie opposte, tuttavia io sono dell’avviso che nell’anima umana ci siano il bene e il male, in un rapporto di uno a tre. E’ così, ne sono persuaso.

– Smetti con tutte queste illazioni, con queste speculazioni di bassa lega, tanto non importa ai lettori sapere cos’è il male, altrimenti leggerebbero un saggio di filosofia e non un romanzo.

– E durerà tutto così? Voglio dire, in uno scambio continuo di battute tra te e me.

– No, per niente, adesso me ne vado, torno più tardi con mio fratello.

– Ah, siete in due.

– Che pensavi?

Niente, niente, cominciamo dall’inizio, quando il personaggio principale, Konstantin, viene a in Italia da Helsinki, lui medico alle prime armi, laureato da poco, per vedere l’Italia che per lui è una fissazione e tu lo hai ucciso, perché ti ha rubato Stefania.

– Non ho ucciso nessuno.

-Invece sì.

– Sei un bugiardo. Non è vero che l’ho ucciso.

-Invece è vero e io ne parlerò. Tutti devono sapere di cosa sei capace. Tutti.

(continua)

Cari lettori, da oggi pubblichiamo a puntate il romanzo “Il fiore azzurro” di Alessandra Vettori (prossima puntata domenica 24 maggio), un thriller mozzafiato. Tutto comincia con il ritrovamento di un cadavere restituito dal fiume Vantaa, che sembra essere quello di un famoso medico. Chi ha ucciso Konstantin? Quale storia si nasconde dietro la sua vita?

IL FIORE AZZURRO

Antefatto

C’era il mare. C’era il sole, erano le diciotto e dunque, stava ancora alto nel cielo, però anche basso, perché era stanco e voleva andare a dormire.

Era estate e sulla spiaggia libera c’era qualcuno, c’erano parecchie famiglie.

E nel cielo, sereno, c’erano due nuvole.

Avevano una forma buffa: l’una aveva preso le fattezze di un grosso pesce con la bocca aperta che, muto, muovendosi, correva in avanti, verso est. Di fronte a lei, la nuvola che la rincorreva, era uno squaletto bello e aggressivo.

Mentre le forme delle nuvole mutavano, era strano, per chi guardava da sotto, vedere il mare in cielo e due suoi abitanti in alto anziché nelle profondità. Si aggiunse un’aquila fatta di bianco e di cotone.

Poi le forme mutarono ancora, sapete,  come fanno le nuvole, insomma le nuvole sono proprio come i pensieri, profondi e veloci, accelerati nel loro apparire e scomparire, alle volte. Alla fine presero il giusto verso e si modellarono l’una come una sogliola, piatta e quieta e l’altra come un gasteropode. Non si affrontarono, ma si guardarono in silenzio; si contemplarono in silenzio; in silenzio si dileguarono.

E l’esile filo di fumo che era rimasto in cielo si disfece e si rarefece e tutto parve eterno , come se il Tempo nascesse in quel momento e si guardasse intorno. Alla fine il sole si stancò una volta per tutte e decise di dormire scendendo lungo la via o linea dell’orizzonte che sembrava davvero morto a tutti i bagnanti, ma non lo era.

Ora, il sole andava apparendo a tutti come una grossa lanterna rotonda e leggermente schiacciata ai poli. Quando la lanterna stava per scendere sulla linea dell’orizzonte ed era vicinissimo ad essa, passò in lontananza una grossa nave e si mise in mezzo tra il sole rosso amaranto-arancio scuro già quasi tramontato del tutto.

Faceva impressione più che se fosse nera, quell’eclissi rossa.

La nave stava sotto e la lanterna rossa, ferma, appesa nel cielo, sopra.

La nave passò oltre, il sole si sentì finalmente libero e cascò giù senza troppi complimenti fino a scomparire completamente.

La penombra sembrava aver la meglio , però non era così: nel cielo volavano gli albatros e fissavano, nel loro volo, sott’acqua per vedere bene i pesci.

Non avevano fatto caso che nel cielo dove loro erano i padroni, le nuvole erano come pesci e nell’acqua, o almeno, sulla sua superficie, c’erano solo le immagini riflesse delle loro ali. Certo, erano uccelli, anch’essi pensieri alati pensati dal Cosmo e creati, fatti di luce e di ombra, di necessità e di libertà. Perché tutte le immagini, a un certo punto di quella creazione , vivono e si moltiplicano e generano un mondo , un universo, come una galassia lontana.

Le nuvole, gli albatros e i pesci possono riempire questa mirabile galassia, sprizzando, mentre agitano le acque del cielo o del mare non importa, nebulose grandi e colorate che costituiscono immense cavità vuote e nuove, vortici impazziti all’inizio che diventano poi vuoti e calmi.

Soprattutto vuoti. Soprattutto calmi.

Era notte adesso. E c’erano le stelle e qualche nuvola veniva illuminata dalla faccia ridente della luna.

E le nuvole, adesso, stavano appese nel cielo davanti alla finestra della mansarda di Konstantin e cambiavano forme di nuovo.

E una stella parlò e richiamò Konstantin a sé, giacché era morto. E il troll del bosco lo sapeva e anche il vecchio marinaio con la pipa lo sapeva e la stella stava davanti alla finestra della mansarda di Konstantin per avvertire tutti in paese che era accaduto un fatto terribile.

Ed è qui che comincia la nostra storia.

Da una grande e unica lanterna magica del cosmo, dove la tundra fa tacere tutto e il muschio agita lievemente il ghiaccio freddo.

Sì cari lettori, qui inizia la nostra storia, quando il fiume Vantaa riconsegnò, dalla campagna gelata, il corpo esanime di Konstantin, che era stato ucciso non si sa da chi e nemmeno perché.


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