In un giardino di una scuola di un paese di uno stato di un pianeta di un cosmo lontano,
vivevano alcuni alberi che erano particolari:
avevano tanto tempo a loro disposizione,
molti decenni erano trascorsi dal loro arrivo sul terreno,
ad alcuni parve solido, un terriccio umido che mandava un odore muschiato di funghi,
ad altri invece pareva aereo, quasi si sentivano dotati di ali,
altri contemplavano soltanto i bei colori
dei quali erano intessuti e queste vesti
sembravano loro del tutto trasparenti, chiare, risplendenti.
Alcuni alberi, i più anziani e saggi,
ritenevano di stare su un suolo fatto di calore
ed altri ancora, infine,
erano convinti di vivere nel mare.
Così, fra una bella conversazione ed un tenero giocare dei rami
e dei frutti e dei fiori con l’erbolina verde
che scrocchiava quando un umano calpestava la terra
che li ospitava,
decisero di donare il giardino che li amava
a chi li avesse cercati,
perché talvolta si sentivano soli,
lì, in quel mondo inusuale,
inconsueto, alla rovescia pareva fosse posto.
Dissero: “Doneremo il nostro giardino,
che è il vanto di questa galassia
e le stelle lo corteggiano ogni sera
ed ogni giorno gli Angeli lo ammirano,
doneremo il nostro giardino,
a chi saprà apprezzarlo”.
Però, siccome non vogliamo che venga sciupato
– sapete tutti quanti banditi ci siano a giro per gli spazi siderali -,
guarderemo prima come su uno schermo
le immagini dei pensieri e delle vere intenzioni
che chi lo vuole vi proietterà.
Ahimé!
Vennero ipocriti che il giardino amavano,
ma poi torturavano le piante e gli alberi,
perché non li conoscevano in realtà.
Vennero scienziati sagaci,
ma allontavano da loro le foglie
perché riuscivano soltanto a contarle e ricontarle.
Vennero gli scrittori,
ma gli alberi soffrivano
perché li descrivevano senza averli compresi.
Vennero anche i pittori,
ma avevano troppa fretta,
i colori non facevano in tempo ad asciugarsi
e loro erano impazienti.
Vennero quelli e quegli altri
e tutti avevano qualcosa da dire,
da raccontare di loro stessi
e da ridire,
ma nessuno coglieva le essenze segrete delle piante,
nessuno riusciva più
a vederle
così com’erano davvero…,
creazioni divine dai suoni incantati,
onde di colori brillanti e in movimento,
evocazioni suggestive di bellezze e verità,
danze delicate e fiabesche,
soffusi canti armonici di pianeti gioiosi
che volteggiavano attorno al Sole primigenio.
Finalmente si avvicinò un bambino,
– quant’era carino! –
e con la sua piccola mano
toccò il tronco di un acero,
raccolse la foglia di un leccio,
odorò il frutto di una quercia,
giocò con i cipressi,
i cedri e il bagolaro.
Poi sorrise ed era talmente felice
che s’addormentò quietamente sulle foglie secche e l’erba,
mentre i funghetti gli facevano il solletico ai piedini.
Tutto il bosco universale
sentito all’unanimità
gli consegnò il giardino,
gli cantò una dolce ninna-nanna,
lo coccolò più volte e lo protesse,
per sempre,
facendolo diventare una costellazione nuova,
chiamata da quel giorno con amore,
“Il giardino dei Puri senza tempo”.
Qui finisce la ballata, mio lettore,
spero di averti allietato con onore.
Alessandra Vettori