Il Maestro parlava, spiegandogli come la dimensione pneumatica debba svilupparsi, se non in opposizione al corpo(“Noi non siamo asceti, non siamo frati trappisti. Non ce ne importa nulla di digiuni, rinunce, contemptus corporis autoinflitti. Ma dobbiamo uscire dal corpo, fare come se non ci fosse. Se avrete degli stimoli, al limite potrete persino soddisfarli; ma fate come se non lo faceste. Mi sono spiegato”). Era muto, attonito, nel gruppo sparuto dei discepoli, seguiva quelle parole come fossero il Verbo, magari non incarnato; era gnostico, docetista, quindi per lui Cristo era un Avatar disincarnato, il suo corpo era mera apparenza, per far vedere a coloro che avevano bisogno di vedere per credere, come Tommaso, ut traditio docet. Ma, naturalmente, senza contare l’influenza della”società dello spettacolo”(Debord e Vaneigem hoc docent), la componente visuale ha un suo rilievo indubbio, per cui la”physis”comunque pesa, appunto”appare”. Ecco allora che, a tratti, il Maestro gli sembrava gigantesco, poi sembrava “rientrare nei ranghi”di una statura medio-dimensionata, poi invece si aveva una nuova impennata, poi i tratti del viso si deformavano o meglio sembravano deformarsi, dove peraltro corre merito ricordare che l’allievo di cui parliamo non soffriva di allucinazioni di alcun tipo, senz’altro non visive, né era in una condizione coscienziale alterata, né era”drogato”o altro ancora; tra l’altro non si era addormentato o altro. Non sapeva spiegarsi la cosa, che tuttavia, ripensandoci, gli appariva legata alle parole che aveva ascoltato, legate alla necessità di trascendere il mondo, la realtà meramente fenomenica. Nel sonno, di notte, il Maestro gli appariva così, come l’aveva visto, quasi tornasse a “visitarlo” e tornava in modo”presentificato”, non come un fantasma (di “fantasmatico” l’immagine non aveva nulla, la si sarebbe, anzi, detta tridimensionale) ma come una presenza non incombente, certo aggettante, “rassicurante”a suo modo, anche se il suo”Vangelo”cozzava contro tutte le idee ricevute e le tradizioni della Chiesa storica(anzi meglio: delle Chiese storiche e storicamente consolidate, nonché storicamente”vincenti”) e dei suoi racconti , spesso adattati ad usum delphini. Un’impressione indelebile, che lo avrebbe accompagnato sempre, per tutta la vita; dovremmo precisare, però, ad onor del vero, che non aveva avuto occasione di confrontare le sue sensazioni e impressioni con quelle degli altri”allievi”, che in realtà non conosceva. Eugen Galasso
Origene
un cielo terso