Corrado Govoni, nato nel 1884 by Ferrara(Tàmara, frazione di Coppàro)e scomparso a Roma nel 1965, rimane importante nel panorama letterario italiano, sia come poeta sia come scrittore(le sue prose sono permeate di quella che si chiamao meglio si definiva”prosa poetica”, dove le”accensioni”e le”illuminazioni”-Rimbaud semper docet-entrano nel flusso narrativo senza urti o noiose”turbolenze”). Vicino dapprima al crepuscolarismo e poi al futurismo, poi fuori da queste correnti, che pure aveva frequentato, Govoni, che nel”Palombaro”aveva dato un esempio di poesia futurista, fatta anche di schemi grafici e quindi di sinestesie parola-immagine, altrove si concentra sull’intimità, sul ricordo delicato e sublimante: “…Per noi muovevi sempre un angelo nascosto/se sedevi in disparte solitaria/raccolta come una Madonna bambina, /le(le mani:sott.)intrecciavi sul senso a coroncina…”. Dapprima vicino al fascismo, poi scosso dalla morte per uccisione del figlio, partigiano comunista, nella”Morte del partigiano”ce ne propone un ritratto antiretorico, di per sé estremamente commovente: “Dorme, dorme lungo disteso/stretto il gonfio collo/nella sciarpa di sangue larga e morbida/sempre più gelida/e il lungo cappotto/è il suo sepolcro/E la sua patria e l’erba”. Della prosa qualcosa s’è detto. Culminante, forse, in un”romanzo-antiromanzo”come”La terra contro il cielo”(1921), racconta la sua vita parlando d’altro, inframmezzando considerazioni sull’amore, la vita, la morte(i temi fondamentali della letteratura di sempre), non rifuggendo da accesi cromatismi(non a caso nel libro si rappresenta quale pittore)e da interruzioni sempre motivate del ductus narrativo volte a riflessioni, a considerazioni, ma anche a lunghe descrizioni sui temi forti sopra brevemente enucleati. Come in Federigo Tozzi e in pochi altri scrittori e poeti italiani dell’epoca, si nota in Govoni una sensualità accesa che controbilancia una valutazione sommaria che attribuiva alla poesia e alla letteratura italiana venature moralistiche.Raccolte fondamentali:”Le fiabe”(1903), “Fuochi di artificio”(1905), “Poesie elettriche”(1911). Eugen Galasso
Aggiunta: Critici come Giacinto Spagnoletti, Giuseppe Ravegnani, Pier Vittorio Mengaldo hanno reso giustizia all’arte govoniana, che altrimenti sarebbe stata quasi”liquidata”da giudizi ingenerosi come quello di un Benedetto Croce, aduso a”inquadrare”poeti e scrittori secondo schemi aprioristici derivati dalla sua”Poetica”.Non è certo, peraltro, l’unico caso di”cittadino delle patrie lettere”vittima di disattenzione(per non dire altro)da parte di illustri critici e storici della letteratura, più preoccupati dalla dimostrazione di uno schema che dalla sua verifica nei testi. Eugen Galasso
“E la sua patria è l’erba”, ovviamente, nel verso finale della poesia sul Partigiano. Sorry. Eugen Galasso