Assiale
Trono
Celestiale
Dona
La sua
Suprema
Essenza
E muove
Il mosso,
movendo.

Luce avea fra le dita. Arte, Scienza, Spiritualità
Assiale
Trono
Celestiale
Dona
La sua
Suprema
Essenza
E muove
Il mosso,
movendo.
Immersa nel Suono
– sai, le figure geometriche
parlano se vogliamo ascoltarle –
di uno spillo
Pensato,
l’Universale Concetto
Diviene
Raggio e diametro
di un cerchio
di centro
Fuori dalla forma,
dalla sostanza,
anche dalla vita.
Potenza
della contemplazione
che nulla per sé vuole,
ma è voluta
dalla Forza
Maestosa
dell’Essere.
(A Proust)
Tutto da capo, da ricominciare.
In Te
Da Te
Per Te
La storia si fa fatto, il fatto storia,
si fa colloquio vergine l’intimo parlare.
Nei nostri incontri
I gesti che facciamo insieme
Quotidiana-mente
Sfidano la natura morta
Per risorgere.
Germoglio io,
Germogli tu.
E i morti, cosa fanno di se stessi?
Fioccano i loro sogni come neve
– i lunghi inverno dimorano i Sepolcri –
e di profumi giovani
si cingono le vesti,
collane di ricordi ereditando.
Sono una donna vestita di Sole.
Copertina del primo volume di Alla ricerca del tempo perduto, collana I Meridiani, Mondadori, 1983.
Pensi troppo poeta, non sei stanco?
I tuoi canti sono troppo acerbi, ancora.
Della forma,
Impara adeguatamente
virgola
I tropos.
Non t’inquietare, sai quanto ti stimo,
ma stai attento ai frutti che maturano
Fanno male se cascano dall’albero.
(Scusami se inserisco un verso in più)
Sulla forma
impera adeguatamente
(grazie a Dio, scusa per l’altro verso)
virgola
il Logos.
(a L. Van Beethoven)
Caro amico, quando sento la tua musica, vedo Fidia che scolpisce con le sue mani gentili e nodose al contempo e ti rammento quando trasformavi le passioni in note celesti….
Lievi e nerborute l’acque…,
Di sole intrise, raccolte e quiete
Quiete e raccolte
In se stesse, timide si spargono
E corrono
Sulle pietre scivolose del ruscello.
E’ un ruscello al quale io sono
Tanto affezionata, amico mio,
Che mi ricorda quando
Da bambina camminavo giocando
In quel bosco di silenzi rappreso;
E le foglie, tutte le foglie,
Avevano sul loro dorso stanco,
Quelle che cadevano d’autunno intendo,
Una lacrima nascosta come i volti nostri,
Dell’infanzia avevamo i segni e i sogni
Giravano nel cielo azzurrino e le foglie
Portavano inscritte le storie degli gnomi
e dei folletti,
dei nani e delle fate che abitavano i tronchi
Delle vecchie querci.
Poi, con gli occhi interiori
Che in un attimo eterno, per dono,
in questo giorno pasquale, si sono aperti
alla luce di Damasco,
Offerta pentecostale
ai sussurri del cuore.
Intravvedo nei fatti quotidiani,
Il mondo prodigioso dello Spirito.
L’aurea nota risuona dappertutto
Ritorna memoria delle origini,
Verso l’Alto si eleva.
Le acque, in avanti scivolando
Verso il basso accompagnano entità misteriose
Che s’incagliano, a tratti,
Sui rametti di legno che l’inverno
Ha tagliato, potato,
Di nuovo seminato
Sul terreno che gela.
Vedo queste entità condensate
Gementi perché prigioniere,
che cercano di liberarsi
Dal giogo acqueo
Che le trattiene.
Le acque, al passaggio, si uniscono
Alle radici degli alberi ammuffiti,
Oppure a radici ancora verdi che,
Come me, lontane dagli affetti umani,
Forsem, non sentendo,
Si sono addormentate.
No! (Dicono alcune voci sommesse)
Noi non sogniamo mai,
Siamo rammemori di trascorse stagioni,
Anni e secoli indietro, ere antiche
della nostra terra
sono i geroglifici
di nostalgia pervasi.
No, non ho lasciato il Paradiso
Per niente.
Per le Muse (sono Dodici, lo ricordo io,
Per grazia), rimaste
in Nove….
Per la Bellezza e la Poesia,
Mie uniche amiche rimaste;
O Muse, ci siamo scordati
Tutti i vostri nomi.
I vostri Visi di deità sommerse.
E un attimo eterno diventa folgore,
Basta rivedere
I vortici e il muoversi, nell’aria
E nell’acqua di cui parlavo prima,
Qui tutt’intorno
Degli Spiriti creanti è l’intrecciarsi lieto,
Delle danze eteree delle api,
Della gioia nascosta fra i fiori
Che riesco a riconoscere ancora,
Oltre le sofferenze,
Oltre il cuore mio che si è spaccato,
Per aver visionato troppo Male,
L’ostacolo all’umanità progrediente.
Ed è Beatitudine la rosa
E le rose che stupite la mirano,
Che sciolgono la luce
Del polline disperso dal vento
Secondo un armonioso Ordine
Di questa Storia eterna e umana insieme
Io vo cantando, ricordando sonorità
Che si sono destate
per un miracolo inatteso,
Un sonorità che non si può pronunciare.
Se non si ama con tutti,
Che fa perdonare
Ciò che non è accaduto,
Se si ama con tutti.
E’ il mio grido che scuote
Dalla morte e dai cadaveri spenti
La Vita che risorge, finalmente!
Parlo con parole di logos….
Parole retoriche, tu dici?
Costruzioni poetiche antiche?
Ingorgo di classicismo in erba?
Lo, sono ancora neonata.
Odo solo Il Logos nella Parola,
Eè bello di nuovo amare,
Amico caro, come un tempo,
Tornare io e te a correre nei campi
Dopo aver avuto le membra intorpidite,
E’ bello poter rivedere la mia figura
che danza nell’aria, parlando,
Pregando.
Di nuovo, cantando.
Qual è il segreto di tutto questo, chiedi?
Lo slancio e la caduta, hanno reso me,
Una e Trina.
( A Rafael Sánchez Ferlosio, che ha scritto una fiaba bellissima, Industrias y andanzas de Alfannhuí).
Los muros son altos, aquí.
Madreselvas enanas, acacias, rosas
Que buscan la luz de la tierra húmeda con sed,
Con aprensión ligera.
Los muros son altos, aquí.
Tu mirada sigue siendo tranquila,
A veces tibia, cordial y ardiente, según los casos.
Según los casos, digo.
Pero las gotas de rocío
Que tienes sobre el rostro
(blanco, blanco rocío de madrugada)
anulan a intervalos los sentidos.
Lo siento.
Detrás de los muros ocultos,
Se oye a lo lejos el grito de la garza
Que se muere:
No llores. Canta el tiempo celoso
Tu historia antigua, desconocida y alegre
Y los muros te sonríen resignados,
Porque los muros saben, saben pillar
– sin dudas algunas –
las viejas escrituras
florecidas en tus ojos.
El rocío se ha derretido con las nubes:
ha nacido a un hibiscus entre las flores.
C’è la luna che dorme, fa silenzio…,
socchiudi gli occhi senza respirare,
c’è la luna che dorme, non parlare.
La bianca luna vuole riposare:
fra le gole dei monti incostuditi
riflette, ignara, la luce opacizzata.
E’ lei la testimone dei miei fatti,
quelli avvenuti e quelli che si fanno,
è lei che porge orecchio al mio travaglio.
Un travaglio che spinge innanzi il giorno,
il giorno lento che mi porto dentro,
tessuto di pensieri e di ricordi,
non morti…, non morti…, non passati,
ricordi nuovi, recenti, incontrollati.
Bizzarro è il caso inconcludente, strano,
che fonde, folle e insano, nella mente,
destini e azioni e trame irridescenti
e muove i fili tenui delle vite,
confondendo i contorni del reale,
per indurre a sognare l’irreale.
A te, Tiche, a te che mi sopporti,
a te rivolgo il canto che mi libera,
un canto gaio, quieto, interminabile,
un canto vero, un canto inconsolabile.
Ti prego, Tiche, non rimproverarmi:
attenua con dolcezza il mio languore
che scrive senza veli le parole:
(le scrivo ingenuamente sulla pelle,
sempre vive, nostalgiche, ribelli)
“mi sono innamorata dell’Amore”.
Eros, mi ascolti? Sei distratto, Eros,
hai lasciato un tuo dardo sotto il fuoco
e la legna, bruciata, non riscalda.
Hai visto Tiche, dietro al verde leccio?
Sta inseguendo la luna, mi dispiace.
La luna, in cielo ammicca e si diverte.
“Mi sono innamorata dell’Amore”:
soltanto questo è il verso ossessionante
ch riempie lo spazio dei miei giorni.
La luna, adesso, culla i miei sorrisi,
risvegliando la gioia che dormiva.
Si tuffano i colori nella luce
solare, Tiche! Non m’abbandonare,
luce solare e ampia, non versare
le tue lacrime stanche e accalorate
sul velluto ingiallito del destino.
Shhh…, shhh…,
c’è la luna che dorme, fa silenzio…,
socchiudi gli occhi senza respirare,
c’è la luna che dorme, non parlare.
E’ trascorso molto tempo, da allora.
Il Sole ha svegliato la Luna
e lei, ha risvegliato il Sole.
Cara Tiche,
ho appreso ad Amare l’Amore.
(a Ingmar Bergman)
Perché piangete
se qualcosa muore
e lascia le sue spoglie cadaveriche
sul terreno umido?
Non devono cadere quelle lacrime
tristi dai vostri volti.
Dite che è melanconico ciò che perisce.
Eppure nella morte,
nell’apparente morte delle cose
vi è il segno inconfondibile
del sacrificio della forma:
la morte è il vivere invisibile
e quando una vita s’accende,
pulsa la forza vitale della natura
che ha compiuto il suo corso.
L’albero secco che dorme l’autunno
non vieta all’estate di rapirlo di nuovo;
i fiumi ghiacciati sui monti
accolgono il sole e si fanno scaldare.
E tu, riposa pure tranquillamente
fra le tue bianche lenzuola:
il sole è sorto anche stasera
e dormirà come fai tu, con il tramonto.
E nella ciclica legge
che pur si manifesta nel fenomeno,
nella legge del vivere e perire
giace, sotto uno strato di polvere
e di usato,
la germinale linfa del creato.
(A Angelo Branduardi)
Mi ricordi Jaufre Raudel….
(Con tal vehemencia el viento
viene del mar, que sus sones
elementales contagian
el silencio de la noche,
Luis Cernuda)
Si posa sul terreno, con un tocco gentile,
la veste talare dell’Angelo.
Tessuta con l’aria del giorno
riempie lo spazio infinito
e annulla il cammino del tempo.
La vedi, quella veste, rifulgere di luce;
la sfiori, col Pensiero, ma essa si disperde,
la cerchi, con il cuore, ma essa si nasconde.
Traspare nell’abito etereo
il lungo soffrire dell’uomo.
L’Angelo, pensieroso e sorridente,
te la porge in silenzio:
“Anche tu puoi indossarlo”
ti sussurra all’orecchio.
Tu lo cogli con fare delicato;
sulle tue spalle gonfiate dal destino,
scivola e poi costringe il tuo respiro
a cambiare la sua fisionomia.
L’Angelo compassionevole e devoto,
poco sorpreso dall’azione audace,
si trasmuta, sotto i tuoi occhi attoniti,
in minute gocce d’acqua azzurra
che non cadono in terra né la bagnano,
ma risalgono e si tuffano nell’aria,
l’aria invisibile e pura della veste.
“Puoi indossarla se vuoi” ti dice ancora.
Tu la prendi di nuovo e in quel momento,
Spiriti luminosi trapassano coscienti
le sue pieghe doloranti e cristalline,
trasformando le piaghe in stelle chiare.
Si uniscono, gli Spiriti, alla terra,
ne intessono i colori,
alimentano la vita, col dono di se stessi,
balbettando un linguaggio sconosciuto.
L’Angelo, che sorride, attende.
Attende, dal sonno degli Spazi
che l’occhio umano, dormente, si risvegli
e nel mattino fervido di luce
volga il suo centro all’eterno senza fretta,
raggio solare del vivere e morire.
Attende, che tu colga con l’orecchio
il suono lieve che ricorda
il balenìo oscurato della notte,
nuovamente affiorante nel giorno.
Finalmente la indossi, quella veste.
In un fulgido barlume temporale,
comprendi tutto e tutto ti comprende.
Mentre l’Angelo attende.
Non dirmi che non ami la Bellezza
tu che l’ispiri nell’essere amato;
non dirmi che ti perdi respirandola
nel vuoto acceso dalla fiamma sacra:
sei la virtù che sottile fiorisce
dal cristallo di quarzo adamantino
e sprigioni i colori del mattino
e illumini la tenebra serale,
e porti in te – con un sorriso lieto –
tutto ciò che è vivente e quindi induce
alla gioia del cuore e alla quietezza.
Sei la Bellezza, ma non te ne accorgi,
sei la purezza, eppure non ricordi
quando il tuo Spirito aleggiava casto
sulle cose del mondo senza anelito.
Respira quella fiamma che ti scalda
e non aver paura di donarti
né di amare l’Amore che ti ama.
Resta così, non muoverti per ora,
lasci che guardi il volto che m’è caro
e m’accompagna nella solitudine,
nel bosco ombroso della negazione.
Non temo niente della morte oscura:
sei tu che favorisci il mio passaggio
e vedo in te la luce che rispecchi.