Un trovatore dei tempi moderni: la pittura di Luigi Guasti

Luigi Guasti, un trovatore dei tempi moderni: la sua intima lirica, che esce addirittura dai suoi quadri e si fa figura visibile, poesia. Vedi la sua capacità amorevole di raccontare le storie dell’umanità, le loro vicissitudini mitiche, le loro origini nascoste ai più; vedi il corale incedere delle figure, umane o appartenenti al mondo della natura parlare con colui che le guarda, colloquiare sommessamente e poi, quasi cantando, gioire del senso profondo dell’esistenza fino alle perle dell’essere. Sono i  colori viventi che parlano, ma la delicatezza di Luigi Guasti le rende facenti parte della nostra realtà quotidiana e le circonda di contorni: ma i colori recuperano la loro vitalità e autonomia e divengono la soglia di un mondo trascendente, dove l’ordine prevale sul caos, i ritmi fluttuano sul mondo dei sentimenti. Tutto ciò dà luogo a un’arte nuova che potremmo definire “L’arte incantata”, questa libera le forme e attraverso una metamorfosi continua delle immagini genera il movimento della volontà, dalla quale nasce e si sviluppa ogni opera d’arte. Definiamo questa corrente artistica figurativa “Movimentismo” di cui ci pare che Luigi Guasti possa essere l’iniziatore.


Natale

Contemplando le stelle,

stanotte,

disegno archi di luce

e attraverso la soglia:

sulla superficie dell’acqua

si riflettono i volti

gioiosi degli Angeli.

Il giardino

In un giardino di una scuola di un paese di uno stato di un pianeta di un cosmo lontano,

vivevano alcuni alberi che erano particolari:

avevano tanto tempo a loro disposizione,

molti decenni erano trascorsi dal loro arrivo sul terreno,

ad alcuni parve solido, un terriccio umido che mandava un odore muschiato di funghi,

ad altri invece pareva aereo, quasi si sentivano dotati di ali,

altri contemplavano soltanto i bei colori

dei quali erano intessuti e queste vesti

sembravano loro del tutto trasparenti, chiare, risplendenti.

Alcuni alberi, i più anziani e saggi,

ritenevano di stare su un suolo fatto di calore

ed altri ancora, infine,

erano convinti di vivere nel mare.

Così, fra una bella conversazione ed un tenero giocare dei rami

e dei frutti e dei fiori con l’erbolina verde

che scrocchiava quando un umano calpestava la terra

che li ospitava,

decisero di donare il giardino che li amava

a chi li avesse cercati,

perché talvolta si sentivano soli,

lì, in quel mondo inusuale,

inconsueto, alla rovescia pareva fosse posto.

Dissero: “Doneremo il nostro giardino,

che è il vanto di questa galassia

e le stelle lo corteggiano ogni sera

ed ogni giorno gli Angeli lo ammirano,

doneremo il nostro giardino,

a chi saprà apprezzarlo”.

Però, siccome non vogliamo che venga sciupato

– sapete tutti quanti banditi ci siano a giro per gli spazi siderali -,

guarderemo prima come su uno schermo

le immagini dei pensieri e delle vere intenzioni

che chi lo vuole vi proietterà.

Ahimé!

Vennero ipocriti che il giardino amavano,

ma poi torturavano le piante e gli alberi,

perché non li conoscevano in realtà.

Vennero scienziati sagaci,

ma allontavano da loro le foglie

perché riuscivano soltanto a contarle e ricontarle.

Vennero gli scrittori,

ma gli alberi soffrivano

perché li descrivevano senza averli compresi.

Vennero anche i pittori,

ma avevano troppa fretta,

i colori non facevano in tempo ad asciugarsi

e loro erano impazienti.

Vennero quelli e quegli altri

e tutti avevano qualcosa da dire,

da raccontare di loro stessi

e da ridire,

ma nessuno coglieva le essenze segrete delle piante,

nessuno riusciva più

a vederle

così com’erano davvero…,

creazioni divine dai suoni incantati,

onde di colori brillanti e in movimento,

evocazioni suggestive di bellezze e verità,

danze delicate e fiabesche,

soffusi canti armonici  di pianeti gioiosi

che volteggiavano attorno al Sole primigenio.

Finalmente si avvicinò un bambino,

– quant’era carino! –

e con la sua piccola mano

toccò il tronco di un acero,

raccolse la foglia di un leccio,

odorò il frutto di una quercia,

giocò con i cipressi,

i cedri e il bagolaro.

Poi sorrise ed era talmente felice

che s’addormentò quietamente sulle foglie secche e l’erba,

mentre i funghetti gli facevano il solletico ai piedini.

Tutto il bosco universale

sentito all’unanimità

gli consegnò il giardino,

gli cantò una dolce ninna-nanna,

lo coccolò più volte e lo protesse,

per sempre,

facendolo diventare una costellazione nuova,

chiamata da quel giorno con amore,

“Il giardino dei Puri senza tempo”.

Qui finisce la ballata, mio lettore,

spero di averti allietato con onore.

Alessandra Vettori

Doni

Doni

Parlando durante le notti

– mentre il mondo dorme e tace –

con Angeli e Arcangeli,

– si erano nascosti alla vista,

ma adesso son tornati -,

la conversazione si fa accesa

anche se guidata quietamente;

è un tenero squillo di trombe

e un Magnificat nasce e

sonorizza tutt’intorno

le menti materiali:

sono gelose…,

me ne sono accorta,

di questo scambio di vedute.

Dunque il Magnificat risuona…

Magnifiche parole

gioia riempie

e rende limpide le ali

con le quali

queste parole viventi, appunto,

vogliono esprimere

le Essenze Primigenie.

Su, sbrigatevi,

soprattutto per voi

sono pronti i doni,

ma li dovreste meritare,

in verità,

senza ricorrere

continuamente

al vocabolo

“umiltà”;

è vero

dovremmo essere umili,

il che vuol dire sentirci appartenenti alla terra,

ma dal Cielo siamo stati originati,

al Cielo torneremo.

E già questo timido pensiero

che andiamo elaborando da più di metà della vita

ci fa inginocchiare e ci fa pregare,

ci fa meditare.

E se il Firmamento tutto

ci ha fatto doni belli,

non ci rimproverate,

dicendoci che non siamo umili,

perché li abbiamo accettati con gratitudine

e per tantissimi anni li abbiamo difesi,

non facendone un vile mercinomio.

Li abbiamo coltivati con amore

e ci sentiamo grati poiché ce ne serviamo

per costruire un nuovo linguaggio, il linguaggio

degli ideali

che viene da remote stelle,

sì, lo sappiamo e con voi lo diciamo,

con fatica però, con sacrificio,

manteniamo

una tale Verità;

con onore,

con fedeltà,

con amore,

con rispetto,

con gratitudine

somma,

per tutti lavoriamo.

Anche per quelli

che non conosciamo…

Alessandra Vettori Maiorelli (Da La Danza dei rosoni)

Immensità lontane

Erano stelle,
quelle che stanotte
credevo di vedere
nella volta celeste?
Erano cuori palpitanti
pensanti
che in coro
dicevano tutte le note
della loro musica interiore.
Erano porte
che si aprivano su percorsi
cosmici diversi tutti
e tutti uguali
Erano storie.
senza tempo tessute
nelle geografie e nei ricami
dell’universo.
Così sussurrava nel sonno
Morfeo a Psiche,
mentre lei non lo vedeva
e lui parlava.
L’unicorno fu creato
da un loro incontro
d’amore
e le farfalle si tuffavano
nella luce,
sfiorando le vesti degli Dei.

Ceice/Morfeo appare ad Alcione. Incisione di Virgil Solis per l’XI libro delLe metamorfosi di Ovidio.
Scan by Hans-Jürgen Günther – http://www.latein-pagina.de/ovid_illustrationen/virgil_solis/buch11/vs11_12.htm

La pastorella, una fiaba natalizia

tratto dal sito: http://free1040.blogspot.com/2008/05/arnolfo-di-cambio-c1245-c1310-presepio.html

LA PASTORELLA

Fiaba natalizia

A tutti gli uomini dotati di buona volontà

C’era una volta,
ma dove fu? Non forse dappertutto?

C’era una volta, dicevo, in un tempo lontano e in uno spazio lontano, ma potrebbe accadere anche adesso, una bambina di nome Stella.

Stella era proprio una bambina carina ed abitava in un piccolo appartamento alla periferia della citta’, con i genitori, i nonni materni, due fratellini piccoli.
Il suo cane si chiamava Salsiccia e il pesciolino rosso, Lulu’.
Sotto casa c’era un giardino per meta’ asfaltato e per meta’ pieno d’erba e li’, tutti i pomeriggi, dopo che era tornata da scuola e aveva fatto i compiti, li’, si ritrovava con i suoi amichetti a giocare.
Pero’ a pochi passi dal giardino c’era la ciminiera di una fabbrica e lei e i suoi amici non erano nemmeno tanto contenti del giardino a loro disposizione, perche’ lo spazio era piccolo ed anche andarci in bicicletta era difficoltoso, mancavano persino le panchine e nessuno si era preoccupato di metterci la fontanella.

Era quasi Natale e Stella pensava ai regali, all’abete da comprare, al presepio da fare.
Cosi’ una bella  e dolce domenica mattina, per l’appunto la seconda domenica d’avvento, decise di tirare fuori dal vecchio ripostiglio gli scatoloni di cartone con le palline natalizie e il presepe.
La regola in famiglia era: “Tutti gli anni comprare una pallina nuova e un personaggio del presepio nuovo, perche’ tutto cresce e si sviluppa, tutto e’ vivente”.
Difatti le scatole che raccoglievano gli addobbi erano diventati negli anni scatoloni e sempre si chiudevano alla fine delle feste con nastri adesivi di tutti i colori,

In fondo, aprire gli scatoloni era sempre un’emozione.

Stella si diverti’ ad estrarre dalle scatole aperte i pastori, le casette di legno dipinte a mano, le casette di cartone, le pecore di porcellana e anche il muschio rinsecchito.

Era bello chiedere a mamma e a papa’, nelle settimane prima del Natale, di andare nel bosco per raccogliere i legnetti, i ciottoli piatti del torrente e i sassi, cortecce di alberi e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.

Si passeggiava per la foresta casentinese e mentre si faceva il percorso che da Camaldoli portava all’eremo, ogni occasione era buona per infilare i creati della natura nello zainetto, quei creati che non abbisognavano piu’ alla natura stessa e portarli a casa, in vista del Natale.

Siccome i suoi fratellini erano indaffarati a giocare, Stella, che aveva avuto da sempre il compito di allestire l’albero e il presepio, comincio’ a lavorare di buona lena.

Stella attacco’ con precisione alla parete il cielo stellato e comincio’ a disporre sul prato artificiale di carta la capanna con la Sacra Famiglia, il bue, l’asinello e tutti i personaggi che aveva, compresi i Re Magi con i cammelli e i piccoli dei cammelli.

Trascorsa qualche ora la mamma la chiamo’ per la cena e dopo Stella si preparo’ per andare a dormire: prima di spegnere la luce getto’ un utimo sguardo al presepe.

Si fece notte fonda, ma qualcosa sveglio’ la bambina dal sonno e le parve di vedere che una pastorella si muovesse: agitava la mano di coccio per salutarla, indossava gli zoccoli di legno dorato, un grembiule fiorito e un fazzoletto dorato le incorniciava il volto ovale circondato da lucenti riccioli neri.

– Chi sei? – domando’ Stella sgranando i suoi occhioni neri e profondi.
– Mi chiamo Alione – rispose la pastorella – e sono una fanciulla angelo; tendimi la mano cara, cosi’ potro’ portarti a fare un bel viaggio… – e aperta la finestra, come per un felice incanto, si fece seguire dalla bambina.
– Stiamo volando ! – grido’ Stella e senti’ un quieto calore.

Volarono sempre piu’ in alto nel cielo, finche’ atterrarono sul campanile di un chiesa.

– Questa citta’ e’ in guerra – le disse Alione – per questo non si vede nessuno camminare per le strade, se non i militari e altri civili che hanno il permesso di farlo.
– Perche’ gli uomini si fanno del male fra loro? – chiese Stella.
– Non sanno che la bonta’ vera, quella del cuore, arricchirebbe i loro animi se soltanto lo volessero. E’ molto piu’ facile essere cattivi, farsi dominare dall’oscurita’ degli istinti, piuttosto che essere buoni per libera e forte e disinteressata scelta – disse Alione e trasse dal suo minuscolo cestino una stella cometa; la fece cadere sulla citta’ infuocata e per un attimo le piccole luci si depositarono al suolo; le scintille minute e radiose cadevano e dove cadevano, le armi cessavano di sparare, i malati guarivano, i morti risuscitavano, la Paura e la Morte indietreggiavano sconfitte.
– La pastorella condusse poi la bimba in volo verso altri paesi dove vi era miseria, fame, malattia e dolore e sempre rimediava con le sue minute stelle e i miracoli si manifestavano, ma pochi riuscivano a vederli, poiche’ bisognava avere aperti gli occhi interiori.
– Tutta la notte fu dedicata alla ricerca di buone azioni da compiere e nessun bisognoso venne dimenticato.

Al mattino Stella si sveglio’ e credette di aver sognato; ando’ a vedere il suo presepe e si meraviglio’ assai quando vide che la pastorella non era sola: teneva per mano una bella bambina dagli occhi neri e profondi, che la notte prima non c’era.

La prese fra le mani e … meraviglia!

– Sono proprio io! – disse felice e stupita.

Comprese allora che nel presepe puo’ viverci soltanto chi ama Dio e sa dove Dio abita.

Alessandra Vettori

Egisto Ferroni (1835-1912)

La pastorella

Autore: 

Ferroni, Egisto (1835-1912)

Titolo: La pastorella

Periodo:  XIX secolo

Datazione: non datato (1872)

Classificazione: Dipinto

Tecnica e materiali:  Olio su tela

Dimensioni (altezza x larghezza in centimetri): 195 x 74,5

Annotazioni: Firma in basso a sinistra: E. Ferroni

Luogo di conservazione:  Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze, Italia

Acquisizione:  Lascito testamentario dell’Ing. Arrigo Ferroni del 2 marzo 1940

Identificativo:  [Ferroni] 39 (1940) | [Giornale GAM] 763 (1932 post)

Note storico critiche:

Eseguito nel 1872, forse a Ponte a Signa, il quadro, che ha il n° 39 nell’inventario della collezione Ferroni fu scelto con altri, il 19 maggio 1941 dalla commissione formata da Poggi, Nomellini e Romanelli per la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Il quadro si ricollega, nel genere, alle composizioni di Cannicci, con le quali presenta somiglianze anche per tagli compositivi. L’immagine della figura è però più forte, per il senso architettonico delle masse, in Ferroni. (Fonte: Polo museale fiorentino). https://www.deartibus.it/drupal/content/la-pastorella

Natale

E’ scesa la sera:
tranquilla la neve
accoglie le orme,
storie segrete
sparse in città.
Fiocca la neve,
silenzio raccoglie,
spinge al ricordo,
rinnova nei cuori
la scelta fedele
al bimbo che nasce.
Scende la neve
di pace riempie
l’anima nostra,
tessuta di oro,
d’incenso, di mirra,
sogno notturno
delle nostre origini
divine.
Cade, la neve.

Alessandra Vettori

“Il giardino delle fate” di Graziella Caropreso

 

Mia madre scriveva di fate, creature magiche e altre cose strane. Ricordo che all’epoca la guardavo un po’ “così così”, nel senso che non capivo bene se era o ci faceva. Però mi piacevano le sue storie e mi sembrava che i personaggi un po’ le somigliassero. Lei pure era una creatura un po’ particolare: un misto di dolcezza e cattiveria mischiate a strane dosi, almeno io a quell’età mi ritrovavo spesso a detestarla per le sue grida e gli scatti di nervi e altrettanto ad amarla profondamente, quando mi guardava con quegli enormi occhi un po’ smarriti. Si è sempre persa dietro ai suoi sogni, come se ci vivesse dentro; a volte iniziava a piangere ascoltando una musica o si lasciava portar via dalla trama di un libro. Mia madre leggeva montagne di libri, e io la guardavo sbalordito finirne uno e iniziarne subito un altro, come quei fumatori che si accendono la sigaretta con quella che sta finendo.
Non sono mai stato un gran lettore e confesso che neppure ora, se non per qualche pubblicazione inerente il mio lavoro, trascorro molto tempo tra le pagine. Lei invece, probabilmente teneva chiuso nei suoi cassetti più di un manoscritto che, sono certo, più volte si sarà immaginata di vedere nella vetrina di qualche importante libreria. Chissà perché le donne molto spesso anziché comunicare a parole, lasciano sulla carta i propri pensieri; certo non tutte sono delle sognatrici come mia madre: mia moglie Clelia infatti è proprio all’antitesi, una donna pratica, affatto romantica, molti la definirebbero mascolina forse, non penserebbe mai di sprecare il suo preziosissimo tempo riempiendo i quaderni. Mia moglie tra la palestra, le sedute alla beauty farm, le interminabili riunioni di lavoro, quando si ferma un attimo non legge ne’ scrive semmai si guarda un poliziesco in TV. Come mai l’ho sposata? In effetti non l’ho descritta con tanta tenerezza, però devo dire che ha qualcosa di speciale nell’atteggiamento verso la vita, che ho trovato molto affascinante fin dal primo momento, è un’ottimista. Comunque non sono qui a parlar di lei, il fatto è che proprio in questi giorni, mi sono ritrovato fra le mani un racconto scritto da mia madre, fa parte di una specie di piccola antologia sulle fate, è un racconto dove la fantasia sprizza da tutte le parti, molto sognante, adatto a un pubblico di tutte le età, lo definirei delizioso. Ricordo moltissimi anni fa qualcuno le propose di portare tutta la raccolta a una casa editrice specializzata in pubblicazioni per bambini, che probabilmente gliela avrebbero pubblicata, lei dopo un primo entusiasmo iniziale, pur continuando a scrivere, mise tutto nel cassetto, come a voler tener per sé e per pochi intimi, quelle sensazioni tradotte in parole e provenienti dal fondo del suo cuore. Come dire, una certa riservatezza, le ha poi impedito di portare a termine il suo progetto. Mia madre non era comunque una donna semplicemente dall’animo romantico, aveva una personalità molto complessa con aspetti del carattere contrastanti, e soprattutto era una che non cedeva mai ai compromessi; a qualcuno poteva sembrar dura, a me talvolta pareva pure cattiva, ma sono certo che rispondesse sempre a regole di giustizia e moralità tutte sue.
Aveva un rapporto speciale con la natura, parlava alle piante del suo amato giardino, e ricordo che io con la crudeltà tipica dei bambini, mi divertivo da matti a farle scherzi e a prenderla in giro, quando la guardavo curare con amore una sua rosa rarissima, in realtà non più grande di una spanna, come fosse un oggetto prezioso, infierivo come più potevo deridendola abbastanza ferocemente. Con gli animali riusciva veramente a parlare, a rischio di sembrar pazzo, continuo ad affermare che era proprio così, lei emetteva certi suoni e loro le rispondevano e la seguivano dove lei voleva; detto così può sembrar riduttivo, bisognava vederla, la gestualità con la quale comunicava coi gatti è rimasta proverbiale, Clelia l’ha vista e anche lei, con tutto il suo scetticismo, una volta rimase colpita dalla scena che aveva davanti agli occhi. “Ma tua madre sembra che parli coi gatti…!” “Che tipa strana che è.”

Posso dire che persone come mia madre, non ne ho poi conosciute molte nella mia vita, quando però mi è capitato di aver a che fare con questi soggetti, li ho riconosciuti subito epidermicamente, quasi dalla luce nello sguardo o da qualche movenza particolare. Ancora oggi ne sono attratto ma allo stesso tempo un po’ li temo, il ricordo di lei è ancora molto vivido, se fisso intensamente un albero o un cespuglio, mi pare di vedere i suoi capelli neri fluttuare tra i rami e di sentirla mentre parla alle rose o canta canzoni inglesi.
L’Inghilterra era il paese dei suoi sogni, lei avrebbe avrebbe dovuto esser nata in quel paese, sicuramente non aveva nulla o poco d’italiano, anche il giardino era in stile inglese, l’arredamento della sua casa era country e la musica d’oltremare vi aleggiava sempre, e tutti i pets che l’hanno sempre circondata, coi quali andava molto più d’accordo che con le persone.
La sua casa immersa nel bosco, già di per sé aveva qualcosa di magico, inoltre aveva piantato tutte quelle essenze tipiche dell’esoterismo, inteso come piccolo popolo, cioè aveva piantato le erbe delle streghe, il sambuco, il biancospino, i noccioli ecc.ecc.
Da bambino andavo in giardino e lo vedevo bellissimo, anche se ci vollero parecchi anni per arrivare alla spettacolarità di adesso, ricordo quando arrivavano piante da tutte le parti, le comprava continuamente, oppure le cercava nel bosco e le trapiantava intorno casa. Ogni volta che portava una rosa le dicevo “oh no, un altro rovo!!” E lei rideva impacciata, a volte un po’ se la prendeva e protestava, ma nulla riusciva a distoglierla nel suo continuo indaffaramento, lavorava affannosamente a quel giardino, con addosso una smania febbrile di vederlo praticamente come non lo ha mai veramente visto….. Ironia della sorte, ripeteva spesso questo concetto triste, mentre metteva a dimora una nuova pianta, la sentivo dire “quando sarà grande ricoprirà tutto il grigliato, ma se la godranno i miei nipoti….!” Purtroppo così è stato, ora siamo noi e i miei figli che corrono intorno agli alberi e scansano le fronde dei rampicanti, che ce lo godiamo, è davvero un capolavoro il Giardino delle fate, il cartello è ancora lo stesso rustico di legno e scritto a mano, legato ad un’acacia. Lei non poteva che chiamarlo così il suo giardino.
Non era superstiziosa, non credeva neppure nell’oroscopo, la sua era proprio una dimensione magica, entro la quale si svolgeva la sua vita. E’ difficile da spiegare, si rischia di essere fraintesi, però mi verrebbe da dire che lei stessa era una creatura magica: un po’ strega un po’ fata….
A volte non c’era e appariva all’improvviso, entrava nelle conversazioni come se fosse stata sempre lì celandosi ai presenti, sembrava che percepisse tutto il mondo intorno a lei con dei sensi diversi da quelli dell’essere umano. Sentiva tutto, vedeva tutto, e soprattutto ricordava particolari apparentemente insignificanti ai più, che talvolta invece si rivelavano importanti a capire le situazioni della vita, i comportamenti delle persone. Lei capiva i gatti ma anche le persone non avevano segreto, entrava nei recessi della mente con una incredibile facilità e con leggerezza trattava anche gli argomenti più scabrosi senza offendere mai, creando anzi una corrente di fiducia coi suoi interlocutori, sembrava una magia anche questa.

Io come ho detto non sono un buon lettore e tantomeno scrittore, ho tentato con queste poche righe di ricordarla e non so se ci sono riuscito; la mia professione di archeologo mi porta a girare il mondo, a entrare e uscire dalla nostra storia, e ricordo una volta tra i ghiacci scandinavi, durante una spedizione, in un sito particolarmente ricco di reperti, mi trovai in mano un recipiente molto ben conservato raffigurante una donna dai lunghi capelli neri e dagli occhi di gatto; ebbi un sussulto, la mia assistente mi chiese addirittura se stavo bene, in realtà non riuscivo più a staccare dalle mie mani l’oggetto: la donna raffigurata era mia madre….

Graziella Caropreso

Sir Joseph Noel Paton – The Quarrel of Oberon and Titania
 

Di sera, sorge il sole

Di sera, sorge il sole
e tramonta di giorno,
riempio con la gioia
tutte le cose,
gli esseri tutti,
coloro con la gioia
l’alto della montagna
e nessuno così
mendica più amore,
nascosto nella montagna
come pietra preziosa
incastonata nella roccia.
Parsifal, corri sul destriero,
adesso sul trono di pietra
puoi riposare in eterno.
Sta arrivando il tuo successore,
padre e madre di se stesso,
senza nome
come tutti gli Iniziati.
Sta arrivando solo con l’ausilio
della Parola,
che il male in bene muta.

 

Alessandra Vettori

 

Sirio

 

 

 

 

Non sapevi davvero dove andare

né per dove la duratura strada

ti portava adesso.

Eri felice. E nel constatare

che la tua Stella ti aveva ritrovato

e ti donava in sorte il tuo destino

finalmente, senza più timore

avevi ripreso lesto il suo cammino.

Sacre constellazioni i tuoi muti incontri

umani e sovrumani, insieme,

-contemporanei –

sul suolo universale.

Disposti in pianeti e in gesti zodiacali

le tue domande 

figurate al cosmo

erano sempre diverse,

a volte qualcuna veniva ripetuta,

perché non avevi meditato giustamente.

Sacri incontri

fraterni,  risonanti di luce e di calore,

d’amore effusi

sentiti

decrittati 

i geroglifici dell’anima:

aprivano soltanto adesso

il loro senso occulto

le meraviglie dell’essere svelando.

Eccoti, amato mio,

eccoti,

sei giunto infine 

 col sorriso tuo, magnifico,

nella giuntura della mia costellazione, 

per me ti fai umano,

la tua mortalità diviene Vera

d’oro per il mio anulare.

Eccomi qua,

sono venuta al nostro appuntamento:

d’amore t’ho donato una ghirlanda,

d’amore m’hai donato una corona,

un raggio del mio cerchio mi abbandona,

s’aggiunge al tuo, a un’opera futura.

 

Alessandra Vettori 

 

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